Addio amico mio

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Spesso ho a che fare con la morte, sia nel mio ambito lavorativo, sia nel volontariato e nella vita privata purtroppo mi sono scontrata con questo macigno che ti spacca la faccia.

Un fuoco nero che rade al suolo tutto quello che c’è, che fa tabula rasa attorno.
Perdere il proprio animale penso sia una delle esperienze più annichilenti che esista.
Parlo ovviamente per me stessa e per quella parte di proprietari che curano i propri animali, non come la maggior parte delle persone che si nascondono dietro ad un Al mio cane voglio bene ed è come un figlio e poi non si preoccupano minimamente se è mesi che si trascina sulle zampe posteriori.

“Tanto è la vecchiaia” ti senti dire.

Parlo invece di quelle persone che rivoluzionano casa per dargli lo spazio adeguato, che recintano il divano per evitare che ci facciano la pipì sopra, che hanno le telecamere in casa per controllare che stiano bene mentre si è a lavoro (o solo per curiosare 😂), che rispettano le profilassi vaccinali, che li trattano con rispetto insomma.

Ma poi, spesso inaspettatamente, ci vengono portati via. E quindi cosa si fa? Ognuno reagisce in un modo tutto suo, c’è chi non batte ciglio, chi sopravvive, chi si dispera.

Ma questi animali…che ci fanno? Semplicemente vivono con noi, condividono la loro vita con noi, diventano parte integrante della famiglia. Si, ho detto famiglia! Spesso sono dei compagni per chi è solo, a volte sono degli aiutanti per chi ha delle difficoltà, il più delle volte sono dei palliativi.

In che senso direte voi? Nel senso che vengono presi in determinati periodi della vita per andare a “tappare”, “ricucire” una ferita, per tentare di dare un senso a tutto. E quando questo cerotto viene strappato i lembi si lacerano e tutto il dolore viene riversato fuori, misto a lacrime e sangue. E’ giusto caricare così tanto emotivamente un animale? Eh, chi lo sa…la mente umana è particolare.

La sola cosa che so è che di fronte al dolore della morte siamo tutti uguali, piccoli, indifesi, incapaci, insicuri, goffi, stupidi, devastati e tutti hanno un modo a sé di reagire. C’è chi prende tutto e lo chiude a chiave in un cassetto, sentimenti compresi, chi non riesce a smettere di piangere, chi si arrovella e rivive ogni singolo momento trascorso per capire se una determinata cosa poteva essere fatta diversamente, chi decide di non volerne più, perché il dolore è troppo grande e opprimente. Ma tutto questo amore dovrà pur andare da qualche parte, se lo teniamo dentro scoppiamo, come palloncini gonfi di acqua. Una valvola di sfogo dovremmo pur averla!

E quindi? Quindi si apre il cuore di nuovo e si adotta, ci si rimette in gioco. E credetemi, non si tratta di rimpiazzare qualcuno o di dimenticarlo, è un modo per continuare a tenere in vita gli insegnamenti, come se volessimo far sapere a chi non c’è più che c’è stato un senso.

Io, se potessi parlare con i miei animali che da lassù mi guardano, li ringrazierei perché ho imparato l’amore incondizionato, perché mi hanno fatto capire qual è il mio posto nel mondo e perché dietro a ogni momento buio ci sono mille ricordi divertenti da poter ripescare dalla memoria. L’importante secondo me è non rompere il cerchio. Si ha paura di soffrire ed è inevitabile, ma è più brutto ancora non salire sulla giostra per paura di cadere e sbucciarsi le ginocchia.

Ma dopotutto, che sarà mai un ginocchio sbucciato?

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